tesi diplomati (in allestimento)
Leuzzi Mariantonietta Facendo riferimento ai due grandi ispiratori della psicologia analitica, Carl Gustav Jung e Marie-Louise von Franz la tesi racconta della Natura, una natura che a volte si manifesta in modo crudele, ma che può rivelarsi trasformativo. Nella tesi si prendono in esame numerose riflessioni teoriche insieme alla narrazione del caso di un paziente con diagnosi di schizofrenia paranoide, che ha avuto il grande merito di accompagnare il terapeuta nell’esplorazione di alcuni aspetti complessi e disordinati della psiche e, al tempo stesso molto ricchi e interessanti. Attraverso le proprie storie, terapeuta e paziente, possono scoprire un terreno comune e fare esperienza di qualcosa di diverso. Si parla essenzialmente di una ricerca di equilibrio tra opposti, sempre da rifare, tra conscio e inconscio, tra femminile e maschile, tra istinto e spirito, tra eros e logos, tra materia e natura. Toccando temi quali la solitudine, la morte, la sofferenza, il limite, si è cercato di ricostruire un legame con la natura, fuori e dentro. Da una parte c’è la storia del terapeuta quasi scritta tra le righe, e dall’altra il racconto di chi, davanti a un bivio, ha preso la via della frammentazione. Vengono riportati i disegni e i sogni del paziente, accompagnati da un breve commento interpretativo. L’ipotesi è che si possa vivere la ferita come porta d’accesso per un rinnovamento, se si ha coraggio, oppure si può scappare e rifugiarsi nella paura. Si arriva alla riflessione che un processo individuativo passi necessariamente attraverso la relazione con la propria inferiorità psichica, con il proprio nucleo psicotico. Quando l’Io entra in contatto con la propria parte più malata scopre qualcosa che è dell’ordine del limite assoluto: la “non curabilità”, ma è di fronte all’impossibile che si attiva qualcos’altro. Così tocchiamo la nostra impotenza e scopriamo persino l’aspetto nefasto dell’ideale di perfezione che lascia via quello che non è perfettibile, mentre è proprio ciò che ci rende completi.
La Natura (é) più grande di noi.
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Marchesi Anna La solitudine è un vissuto che accomuna tutti gli esseri umani, ma vi sono differenze nella frequenza e nell’intensità con cui si presenta nei singoli individui. Ogni esperienza di solitudine, in quanto esperienza interiore, ha una sua peculiarità psicologica fatta di sensazioni, dinamiche psichiche e vissuti interni. È possibile quindi parlare di differenze nelle reazioni soggettive alla solitudine e nel valore attribuito alle esperienze che riguardano i rapporti umani, rispetto al valore attribuito a ciò che succede quando si è soli. Ho indagato quindi cosa faccia sì che alcune persone riescano a vivere serenamente i momenti di solitudine e a goderne, mentre per altri siano fonte di sofferenza e angoscia. Tema centrale della tesi è come venga affrontato il sentimento di solitudine dagli individui nel suo doppio aspetto di solitudine vissuta negativamente, come sofferenza e isolamento, e solitudine vissuta positivamente, come momento di conoscenza interiore e possibilità creativa. Questi elementi possono essere paragonati alla fase alchemica della Nigredo, caratterizzata da oscurità e amarezza, e alla fase successiva di rinascita e creatività dell’Albedo, intesa come momento di verità interiore e saggezza. Tale passaggio trasformativo può essere letto come l’intervento di un archetipo, l’archetipo del Vecchio Saggio, che si esprime nel suo polo negativo caratterizzato da depressione, stagnazione e pesantezza, o nel suo polo positivo caratterizzato invece da saggezza e spiritualità. Ho affrontato quindi questo lavoro di ricerca come tentativo di sviluppare un percorso che muovesse dalla paura della solitudine al suo desiderio, dalla Tenebra, termine utilizzato da Jung nel Libro Rosso, alla ricerca di un luogo di vita interiore, al fine di riuscire a tenere dentro e conciliare entrambi gli aspetti, in una costante ricerca di senso. Ho approfondito la tematica prendendo in esame alcune figure della solitudine come quelle di viandanti e pellegrini, viaggiatori e cercatori erranti, con particolare riferimento alla storia di Siddharta, narrata nel romanzo di Hermann Hesse, e di Jung stesso, che per tutta la vita si è confrontato con la propria solitudine interiore, così come si evince dalla sua autobiografia. Ho inserito all’interno del testo alcuni brani scritti dai partecipanti al Laboratorio di scrittura creativa del centro dove ho svolto il mio tirocinio, per esplorare il vissuto di solitudine legato all’esperienza psicotica, depressiva, maniacale o schizofrenica. L’ultimo capitolo infine è dedicato all’analisi della figura del Vecchio Saggio all’interno di un percorso di Sandplay Therapy.
La solitudine: Tenebra e ricerca del luogo della vita interiore.
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Minella Gianluca “Morire si ma non essere aggrediti dalla morte” canta il verso iniziale di una splendida poesia di Vincenzo Cardarelli. Questa sensazione di aggressione è di solito l’esperienza dell’Io quando deve confrontarsi con la morte. Il rapporto con la morte tuttavia è un’esigenza fondamentale che appartiene all’ontologia, all’essere più profondo che è in noi. Non c’è cultura, civiltà, stagione dell’uomo, in cui questa esigenza non si manifesti. Maria-Louise von Franz ci ricorda che è un’esigenza archetipica scritta in noi dagli albori dell’umanità. Cosa ci impedisce, oggi più che mai, di entrare in relazione con la morte? Jung racconta di aver meditato sulla morte tutti i giorni, a partire dall’età di 35 anni. La tradizione orientale insegna che la contemplazione della morte è la più nobile di tutte le contemplazioni perché è come l’impronta dell’elefante: le impronte di tutti gli altri animali ci entrano dentro. Da Freud a Jung, attraverso il gioco, l’arte, il mito e soprattutto l’esperienza clinica del lutto, seguiremo tracce di quel viaggio evolutivo che l’Io intraprende orientandosi verso la stella del Sé, l’itinerario del percorso psicologico dell’individuazione, quel processo di trasformazione che coinvolge la psiche in tutta la sua interezza e che in ultima analisi, come dice Hilman, è una vera e propria una preparazione alla morte. Fiduciosi che nella notte non troveremo solo fantasmi, ma splendore di costellazioni.
"Oh mio Dio! ...È pieno di stelle". Perdita, morte e trasformazione. Itinerari, riflessioni ed esperienze cliniche al confine.
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Negro Elena La storia narrata è quella di un giovane paziente, intrappolato nel sintomo somatopsichico della compulsione a strapparsi ciocche di capelli, in una dimensione legata al corporeo ed all’arcaico registro del piacere e del dolore. Si tratta di un’area insimbolizzabile ed impensabile: rimanda alle antiche radici del rapporto primario ed a quell’insieme di ipotesi e significati mancati e non integrati che giungono dal materno, i quali conferiscono tridimensionalità all’esperienza immediata e non mediata del bambino. Alienarsi nell’esperienza sensoriale protegge dal pensare e dal sentire. Ma, attraverso la dinamica tra le opposizioni, la coscienza può cominciare a conoscere e conoscersi, trovare la propria misura, e sperimentare di poter sentire psichicamente.
Il fantasma e la sua reincarnazione. Il percorso di Matteo.
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Le immagini simboliche che sono emerse attraverso il gioco, come una sequenza di sogni, mettono in scena la complessità di un mondo interiore che fatica a trovare la propria forma nella vita. Ed è nel gioco che la sensorialità pura, unico mezzo di espressione di contenuti non ancora psichicizzati, incontra il suo opposto: il fantasma. Come spirito, complesso autonomo, testimone di una devitalizzazione ma speranza di rientrare nella dimensione umana perduta, il fantasma può essere guardato ed afferrato, compreso, per così animarsi e divenire un interlocutore.
Pepe Giusi Il riconoscimento e il funzionamento del maschile interiore nella donna, a partire dalla scoperta di C.G. Jung circa l’esistenza di una componente femminile nell’inconscio dell’uomo e di una componente maschile dell’inconscio della donna; a cui darà il nome, rispettivamente di Anima e Animus. E così che per la prima volta, la donna viene ad essere collocata su un piano di parità con l’uomo e, il suo essere diversa da lui non rischia più di venir interpretata come un’inferiorità costituzionale, che sottende dipendenza ed incapacità di autonomia. Viene preso in esame il caso clinico di una donna, in modo da poter osservare questa componente maschile in azione, attraverso il percorso psicologico, il materiale onirico e grafico. Si prendono poi in esame alcune fiabe, espressioni dell’inconscio collettivo, per comprendere più da più vicino e, in modo personificato e non contaminato dall’inconscio personale, il presentarsi delle varie forme dell’Animus nella donna. A questo punto, viene trattato il processo di trasformazione da Animus negativo ad Animus positivo, da complesso psichico parzialmente autonomo che si proietta all’esterno a funzione psichica rivolta all’interno; da predatore della psiche femminile a guida spirituale della donna. In conclusione, viene descritto uno schizzo della totalità del cammino evolutivo femminile.
L’Uomo interiore della Donna. Dall’Animus negativo all’Animus positivo e lo sviluppo del Femminile.
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Scaglia Laura La tesi presenta alcune riflessioni sul significato dell’immagine dell’animale attraverso un approccio euristico che va a cogliere il senso e il valore dell’immagine osservando il movimento che la stessa sollecita nel paziente e nel lavoro analitico.
L’anima animale. Animali in sogno.
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L’animale ha da sempre accompagnato la vita dell’uomo, fin dall’antichità. Per alcune similitudini con l’uomo, per la sua autonomia e per le sue fattezze, l’animale è diventato il luogo di molteplici proiezioni. L’animale favorisce il rispecchiamento e la conoscenza di elementi psichici quali possono essere le tracce filogenetiche, le dimensioni d’Anima, d’Ombra, o i meccanismi di difesa. Caricato di valenze psichiche, di attributi e qualità umane, l’animale assume il ruolo di protagonista in molte fiabe, nei miti e nei sogni.
L’animale muove profonde e arcaiche emozioni: di avvicinamento, di cura e di curiosità, piuttosto che di fuga e di difesa. L’immagine dell’animale è espressione del rapporto tra la coscienza e l’inconscio, rivela qualcosa del loro equilibrio/disequilibrio e della loro compensazione. Rappresenta spesso una dimensione d’Anima, in quanto funge da ponte tra la coscienza e l’inconscio, favorendo il loro interfacciarsi.
Attraverso la presentazione del caso clinico, di sogni e di esperienze, la tesi porta in evidenza che il principio animale ha una propria forza e autonomia nel farsi presente alla coscienza e richiamare l’attenzione dell’Io. L’animale sollecita un ampliamento della coscienza proponendo una nuova prospettiva di visione e veicolando una porzione di sapere inconscio.
Per alcuni pazienti l’animale in sogno ha svelato in modo pertinente la personale problematica, rendendola chiara ed evidente. Particolarmente toccanti sono i sogni o le esperienze in cui l’Io si coglie oggetto di osservazione da parte dello sguardo animale. In queste circostanze all’animale viene riconosciuta una specifica intenzionalità e soggettività.
Quando invece l’animale in questione è l’insetto, si vedono mobilizzarsi le difese dell’Io che, impaurito e spiazzato, si trova a confrontarsi con una diversità percepita minacciosa.
L’imago animale può orientare il lavoro analitico verso l’integrazione di dimensioni d’Ombra, che andranno comprese analizzando quella specifica immagine di animale.
L’immagine dell’animale assume talvolta la valenza di guida quando connettere dimensioni psichiche tra loro distanti e accompagna l’Io nei passaggi di vita o di stati psichici.
Tozzi Chiara Il compito di parlare dell’anima e del sacro parte dal verde, da una piccola pianta che nella sua semplicità è piena di significati, storia e miti. Partendo dalla sua biologia, cioè dal basso, il vischio è una pianta che non può toccare terra, cresce sospesa su alberi e arbusti e si nutre della linfa che l’albero sintetizza anche per lui. Il vischio è però legato anche al polo opposto, cioè l’alto. L’impollinazione avviene ad opera degli uccelli, simbolo spirituale legato all’aria al cielo al vento. L’alto è il polo opposto di quelle radici che affondano nella terra, la materia da cui il vischio dipende per vivere. Alto e basso sono i poli, gli estremi che il vischio riunisce non soltanto concretamente per vivere, ma simbolicamente attraverso i significati di cui è portatore e che rappresenta. Il rito di raccolta del vischio nella cultura celtica avveniva durante il Solstizio d’inverno, celebrazione volta a garantire la sopravvivenza dell’anima alla morte. Il concetto di guarigione e cura amplia i suoi orizzonti e significati attraverso questo rito. L’uso del vischio come rimedio non è univoco o specifico; si parla di corpo, di anima e di spirito e anche di conoscenza. Il rito sacro veniva espletato durante la luna crescente da un sacerdote, si concludeva con un sacrificio e un banchetto volto a garantire o ristabilire il patto con gli Dei. Il vischio è legato alla ciclicità della vita, della cui regolarità e continuità il verde ne è il rappresentante. Le stagioni si ripetono, come la vita nelle sue diverse fasi, e come anche la psiche in un processo che è il senso stesso della trasformazione e del rinnovamento delle energie. La morte è una di queste fasi, è un passaggio necessario per il rinnovamento e la continuità della vita stessa. La regolarità di questo processo, il suo ordine intrinseco, è la forza del vischio. L’energia di cui è portatore e che cura, è la forza della stessa vita che il vischio rappresenta ed esprime anche simbolicamente rispecchiando la regolarità cosmica. La sua energia è la forza della vita che si rinnova costantemente rispecchiando un progetto, o una visione talmente perfetta e armonica che non possiamo chiamarla altro che Divina, di cui facciamo parte anche noi.
Il vischio. La perennità della vita.
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